di Gianluca Pisati

 

Negli ultimi dieci anni la migrazione del software verso le infrastrutture cloud ha fatto nuovamente cambiare faccia, valori e passo al mondo dello sviluppo software.

È in questo contesto che la metodologia DevOps si inserisce e si dimostra l’ennesima rivoluzione del modo di lavorare, dopo la nascita, agli inizi degli anni 2000, di Agile.

Il vecchio modello Waterfall, adottato per decine di anni e ancora oggi utilizzato per una buona percentuale di progetti, si ispira all’industria e alla manifattura, ambienti dominati dai processi lineari. Similarmente anche i progetti software sono stati visti, per lungo tempo, come qualcosa di risolvibile tramite pianificazione e roadmap accurate.

Agile su questo fronte è stato dirompente, rivoluzionando un approccio che sempre più spesso ha mostrato i suoi limiti e a volte dannoso per lo sviluppo software: si allontana dalla pianificazione a priori dell’intero progetto, abbracciando l’idea di rispondere al cambiamento invece che contrastarlo. Il cambiamento è considerato come modo per soddisfare le esigenze del cliente.

DevOps è una metodologia che incide sul modo in cui software e applicazioni sono costruiti e distribuiti, e completa il processo di trasformazione iniziato da Agile. Non esistono muri tra sviluppo e operations, i due mondi lavorano contemporaneamente e senza silos.

Gartner la descrive come una tecnica che “enfatizza le persone, la cultura e la collaborazione tra sviluppatori, operations e le altre parti, per portare più valore”.

Ma a quale valore si riferisce? Raggiungere alte prestazioni nella delivery del software è importante perché ha un impatto significativo sui risultati organizzativi come redditività, market share, qualità e soddisfazione dell’utente finale.

 

 

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