Nel mondo del marketing, l’antropomorfismo di marca può essere un potente meccanismo per connettersi con i propri consumatori.

Per antropomorfismo di marca si intende la tattica di correlare alla marca caratteristiche umane. E se nel passato questo significava la creazione di Bibendum, l’omino simbolo di Michelin, oggi alcune aziende stanno portando l’antropomorfismo di marca a un livello completamente nuovo grazie all’uso di sofisticate tecnologie di AI.

Consideriamo esempi di Chatbot avanzati, come Siri di Apple, Alexa di Amazon e Cortana di Microsoft. Grazie all’immediatezza delle loro interfacce, è plausibile che i clienti spendano sempre più tempo impegnati in conversazioni con l’AI di quel Brand che con qualsiasi altra entità, inclusi i dipendenti dell’azienda.

Nel corso del tempo Siri, Alexa e Cortana, e le loro relative “personalità”, potrebbero diventare addirittura più famose delle società che le hanno originate.

Le implicazioni però sono numerose. Poiché i Chatbot e le altre tecnologie di AI diventeranno sempre più il i Brand Ambassador delle aziende, sarà importante per queste assumere personale con nuovi tipi di competenze, che garantiscano che il marchio continui a riflettere le qualità e i valori desiderati dall’impresa.

Analizzando come l’AI è stata implementata in più di 1.000 multinazionali, abbiamo scoperto che molte di queste aziende stanno già utilizzando (o hanno sperimentato) l’AI per orchestrare l’esperienza di marca in un certo numero di processi aziendali. Questi includono il servizio clienti (39% delle aziende), il marketing e le vendite (35%), e anche la gestione delle relazioni esterne che non riguardano la customer base (28%) dove il potere attrattivo della marca diventa un elemento fondamentale, come ad esempio nel recruiting.

Oltre ai Chatbot

I Chatbot sono solo una delle possibili declinazioni che l’AI può assumere e che possono essere utilizzate come Brand Ambassador. Infatti, c’è una vasta gamma di interfacce che le aziende possono usare per fornire un’esperienza di marca. Si possono trovare avatar, ologrammi, robot veri e propri dotati di espressioni facciali e sistemi di natural language process.

Qualunque sia l’interfaccia scelta, le aziende devono gestire sapientemente l’ambito delle interazioni con i propri clienti.

Ogni contatto è un’occasione per valutare il sistema di AI e più in generale la performance del marchio e della società.

Allo stesso modo in cui la customer base può essere più o meno soddisfatta dall’interazione con un rappresentante del servizio clienti, allo stesso modo può formare un’impressione duratura dell’esperienza avuta con un Chatbot, un robot fisico o un altro sistema di AI.

Inoltre, le interazioni con l’AI possono essere potenzialmente molto più ampie di una qualsiasi conversazione avuta con un commerciale o assistente: un singolo bot può interagire con decine di migliaia di persone contemporaneamente.

Ed è proprio per questo che le impressioni, buone o cattive che siano, possono avere una portata a lungo termine e di interesse globale.

Come posizionare correttamente il tuo Brand Ambassador

I dirigenti devono prendere decisioni oculate quando decidono di adottare un ambasciatore di marca antropomorfo – il suo nome, la voce, e tutte quelle caratteristiche che ne determineranno la personalità.

Watson di IBM conversa in una voce maschile; Cortana e Alexa ne utilizzano una femminile. Siri e l’AI senza nome di Google Home possono utilizzare entrambi i registri. E quali qualità scegliere per rappresentare meglio i valori dell’organizzazione?

Le personalità di tutti questi assistenti sembrano essere disponibili, ricordando l’interazione che si può avere con un amico un po’ nerd, sempre pronto a dispensare un sacco di informazioni o battute geek, ma un filo troppo impostato – forse perché prende tutto quello che diciamo così alla lettera. C’è anche da dire che risultano poco credibili quando si professano profondamente rammaricati per non essere riusciti a rispondere alle nostre domande o a comprendere i nostri comandi.

Poi però ci sono importanti differenze. Alexa si presenta come sicura di sé e premurosa – non risponde ironicamente quando viene usato del linguaggio scurrile e non usa molto spesso lo slang. Siri, d’altra parte, è sfacciata, brillante e spiritosa. Ad una domanda circa il significato della vita, potrebbe rispondere: “Trovo strano che tu lo chieda ad un oggetto inanimato”. Siri può anche diventare addirittura gelosa, soprattutto quando gli utenti la confondono con un altro sistema di ricerca vocale. Quando qualcuno incorre in questo errore, la sua risposta potrebbe suonare qualcosa come “Perché non chiedi ad Alexa di fare quella chiamata per te?”. Questo stile è assolutamente in linea con il marchio Apple, che ha da tempo sposato l’individualità come valore vincente, in contrapposizione al conformismo . E infatti, ha dotato Siri di una personalità riconoscibilissima che ricorda più una persona che un prodotto.

Dalla personalità alle emozioni

Potrebbe sembrare un po’ azzardato suggerire che tutti i sistemi di AI dovranno sviluppare una personalità specifica, ma basta pensare a come tecnologie quale Siri o Alexa siano già così strettamente associate rispettivamente ad Apple e Amazon per capire come la “formazione della personalità” stia diventando un vero e proprio business da non sottovalutare.

Ma non è finita qui, è facile che le aziende arrivino ad incorporare l’empatia nei loro sistemi di AI.

Ciò potrebbe suonare azzardato, ma in realtà si stanno già muovendo i primi passi in questa direzione.

Koko, startup nata dal Media Lab del MIT, ha sviluppato un sistema di Machine Learning che può aiutare Chatbot come Siri ed Alexa a rispondere con empatia e profondità alle domande degli utenti. Un team si sta occupando di addestrare l’algoritmo di Koko per insegnargli a rispondere più in modo empatico a persone che potrebbero, ad esempio, essere frustrate che i loro bagagli siano stati persi, che il prodotto acquistato sia difettoso o che un determinato servizio non risponda.

L’obiettivo è che il sistema sia in grado di parlare alle persone che stanno vivendo un problema o una situazione difficile utilizzando l’appropriata quantità di empatia, condiscendenza e umorismo.

 

Sources: Harvard Business Review, Visual Hunt